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  • 29 Agosto 2020

    Coronavirus: ecco perché in Europa continuano a salire i contagi

    Lo pneumologo Sergio Harari, che ha a lungo lavorato in Francia: «Viaggiare ci ha resi meno cauti, ed è scattata la rimozione collettiva.


    Qui le sue parole in un'intervista di Silvia Turin su Corriere.it
     

    Cosa succede in Francia?
    «Sicuramente rispetto alle norme hanno avuto un atteggiamento meno rigido di quello che è stato in Italia — afferma Sergio Harari, pneumologo all’Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e Professore di Clinica Medica all’Università di Milano, che in passato ha a lungo lavorato in Francia —. D’altra parte la riapertura delle scuole (che in Francia è avvenuta dopo il lockdown) ha giocato un ruolo determinante e in questi giorni l’anno scolastico riparte, quindi ci sono vari fattori che differenziano la situazione francese dalla nostra».

    La risalita dei casi in Europa è dovuta alla ripresa dei viaggi e alle vacanze?
    «Direi di sì e l’esperienza italiana la dice lunga in questo senso: il fatto che durante le vacanze estive la gente abbia ripreso a viaggiare ha determinato i risultati che stiamo registrando in queste settimane. Quando le persone erano circoscritte nella propria Regione, anche i comportamenti singoli in maniera spontanea rispecchiavano la situazione epidemiologica locale. Quando la gente ha iniziato a viaggiare, l’atteggiamento è mutato a seconda del Paese in cui si è deciso di trascorrere le vacanze».

    E in Italia perché aumentano i positivi?
    «Credo che a un certo punto ci sia stato un “problema” di rimozione collettiva, con un calo generale di attenzione. La riapertura delle discoteche si sarebbe dovuta evitare, sarebbe servita anche più attenzione sulle spiagge».

    Come mai il numero dei ricoveri non si alza, o comunque lo fa di poco?
    «Le manifestazioni cliniche del virus sono meno gravi di quelle che vedevamo all’inizio, il caso della RSA di via Quarenghi a Milano è significativo: molti anziani positivi, ma non casi gravi al momento. Non sono solo i fattori età e fragilità a determinare la severità della malattia. Ci sono elementi che sfuggono ancora alla nostra capacità di valutazione scientifica, in assenza di chiare e riconosciute mutazioni virali. Non conoscendo i meccanismi di questo fenomeno, però, non possiamo escludere che le cose possano peggiorare. Non penso che si tornerà alla situazione di marzo, perché siamo più pronti, ma ci sono dubbi sul futuro».

    In Usa non si fanno più i tamponi agli asintomatici.
    «Gli asintomatici sono i portatori di contagio “ideali”: non sanno di avere il coronavirus e lo trasmettono. Alcuni possono anche diventare “super diffusori”. È importante identificarli: così si possono mettere in quarantena».

    Siamo pronti per i luoghi chiusi e i mezzi pubblici?
    «È chiaro che gli ambienti chiusi favoriscono la trasmissione, ma dato che questo virus potrebbe diventare endemico, dobbiamo cercare soluzioni che garantiscano la convivenza, anche se non saranno mai a rischio zero».

    E il ritorno a scuola?
    «La riapertura delle scuole aumenterà i contagi. Bisognerà trovare una mediazione tra i dati di realtà (in termini di aule e risorse) e un rischio considerato accettabile dal punto di vista sanitario. La scuola è una priorità assoluta e sociale (insieme all’Università) e deve ripartire, ma nessuno è pronto veramente».

    Cosa fare con l’influenza?
    «I veri problemi li avremo nei Pronto Soccorso e negli ambulatori dei Medici di Medicina Generale, visto che i sintomi dei due virus sono molto simili: sarà fondamentale vaccinare la popolazione. Spero che le dosi siano sufficienti. Quest’anno vaccinarsi contro l’influenza è una sorta di dovere civico. Sarà anche importante avere un accesso diffuso e rapido ai tamponi».

    Lei ha avuto il Covid-19, come deve comportarsi chi lo ha già preso?
    «Credo che la possibilità di reinfezione (nonostante i recenti casi segnalati) sia scarsa almeno per alcuni mesi, in futuro vedremo cosa accadrà. Chi l’ha già fatto penso possa sentirsi relativamente al sicuro, se si è sviluppata una adeguata risposta immunitaria al virus. Questo però non vuol dire non prendere misure di protezione».