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  • 02 Ottobre 2020

    Quelle lezioni che impareremo dalla pandemia

    Sanità e Ricerca alcune lezioni che ricorderemo.
    L’accelerazione sul vaccino mostra che si può lavorare al bene comune.

    Siamo ancora lontani dal poter fare un bilancio sulla pandemia che ha sconvolto il mondo e causato un milione di morti ma forse è arrivato il momento per tentare alcune considerazioni iniziali che aprano a una seria riflessione nei diversi settori della società e del mondo scientifico e culturale più direttamente coinvolti nella gestione dell’emergenza. Una prima lezione ci deriva dalla vicenda surreale dell’idrossiclorochina (Plaquenil), spacciato, così come l’azitromicina, come farmaco salvavita contro il COVID, per il quale si sono spesi politici come Trump e Bolsonaro, ma anche scienziati abbagliati dalle luci della ribalta e improvvisamente dimentichi delle norme di base della seria ricerca medica. L’antimalarico diventato ex abrupto panacea antivirale, le cui vendite in America si sono moltiplicate per cifre a tre zeri in una sorte di follia collettiva, ha poi dimostrato, così come l’antibiotico azitromicina, di non avere alcun effetto benefico ma in cambio di regalare alcune tossicità a chi lo assume. La morale è che la ricerca scientifica non può mai prescindere da regole precise che ne garantiscano l’affidabilità. Sempre sullo stesso tema una seconda riflessione riguarda l’enorme sforzo per lo sviluppo di un vaccino per il Coronavirus al quale stiamo assistendo, una accelerazione impressionante, grazie a un impegno straordinario e a investimenti eccezionali. La ricerca può quindi essere indirizzata e guidata su obiettivi comuni ma necessita di finanziamenti e risorse adeguate. Il terzo insegnamento ci deriva dal maldestro e improvvisato adattamento di linee guida, in assenza di solidi dati scientifici, a situazioni emergenziali: i cortisonici, oggi uno dei pochi farmaci riconosciuti per contrastare la tempesta citochinica del SARS CoV 2, all’inizio della pandemia erano controindicati dalla maggior parte delle linee guida delle società scientifiche infettivologiche. Tutto questo ci mette in guardia sui pericoli di una scienza condizionata o influenzata dalla politica o da comportamenti irrazionali e ci ricorda come in campo medico- scientifico non esistano solo le competizioni ma anche le sinergie tra i gruppi di ricerca.

    Abbiano finalmente capito che in un mondo globalizzato quello che accade oggi in Cina domani occorre in Italia, così come il mondo è uno solo, pensare ognuno per sé non ha senso. In questo l’Europa si è distinta per la totale assenza di una politica sanitaria comunitaria, la mancanza di una strategia unica si è sentita e continua a rappresentare un limite molto importante della nostra Unione Europea. In questo frangente anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha mostrato molte carenze e limiti nella capacità di governo internazionale dell’emergenza che dovrebbero far ripensare al suo ruolo. Nel nostro Paese ritorna poi di attualità il tema della riforma del titolo V della Costituzione, con competenze centrali e regionali che spesso si contrappongono e confliggono.

    L’igiene e medicina preventiva e la medicina del lavoro, specialità che in passato sono state una gloria italiana, vanno oggi attualizzate e sostenute per garantire nel prossimo futuro piani e interventi epidemiologici efficaci e moderni.

    Una lezione importante per l’Italia riguarda il SSN, comprensivo delle strutture pubbliche e private accreditate, il cui valore è stato evidente in questo frangente come non mai, ma che necessita di tutti quegli investimenti che sono mancati in questi ultimi decenni, e le cui ricadute sono fondamentali per l’equilibrio economico di tutto il Paese. Abbiamo finalmente capito il valore straordinario del patrimonio professionale e umano rappresentato dai nostri medici e infermieri, mai valorizzato a sufficienza. L’organizzazione dei nostri ospedali ha dimostrato una flessibilità impensabile fino a ieri che deve far riflettere sulle architetture e forme organizzative da dare domani ai nostri nosocomi. Il territorio è stato il grande assente in questa pandemia, una criticità che deve essere affrontata insieme al grande e mai risolto tema del rapporto tra SSN e medici di famiglia e della loro formazione. Altra questione emersa con forza è il ruolo dei rapporti tra i media e medici e ricercatori: l’importanza di una comunicazione scientifica trasparente è un fattore fondamentale e determinante per un attivo coinvolgimento dei cittadini, solo grazie a questa è possibile ottenere l’adesione a comportamenti e restrizioni altrimenti impensabili. Abbiamo anche capito come le interazioni tra uomo e ambiente siano enormi e modificabili, l’involontario esperimento del lock down con i delfini che sono tornati a visitare il porto di Cagliari e la laguna di Venezia ripopolata dalla fauna marina sono immagini che non dovremmo dimenticare. Molti altri argomenti potrebbero essere affrontati: dal mutato rapporto degli studenti con l’insegnamento, e non si tratta solo di parlare di didattica a distanza, a una società che nello spazio di pochi mesi si vede rivoluzionata nei propri modelli organizzativi, sconvolgendo interi settori produttivi. Avremmo molto volentieri fatto a meno della pandemia che ha segnato la storia del XXI secolo ma dovendo necessariamente fare i conti con l’ineluttabile è bene pensare a come ha cambiato e cambierà le nostre vite e i nostri modelli sociali e economici compresi quelli sanitari.

    [Corriere Nazionale - Sergio Harari]